giovedì 6 gennaio 2011

Le Langhe non si perdono

21 agosto 2008, Santo Stefano Belbo, la Langa, Pavese.
Ho percorso le piccole strade e attraversato la piazza fino a salire la scalinata che conduce alla Fondazione Cesare Pavese.
Lì tra i suoi libri, le sue lettere, i suoi sogni ed i suoi ricordi, per me che lo amo così profondamente, è stato come averlo vicino e insieme a lui Nuto, Silvia, Irene , Cinto e Masino.
E la Langa là fuori non era più solo terra e vigna e cielo ma diventava origine, senso di appartenenza, sudore e profumi, bestemmie e fragore di umanità calpestata.
Diventava vita, vita tormentata, vita che non si piega, vita che non si perde, anche quando finisce.
E tutto aveva un senso, almeno così mi è sembrato.
Tutto aveva senso, ogni esperienza, ogni momento vissuto o da vivere, ogni lacrima, ogni attesa, ogni partenza aveva la sua casella.
Ecco, improvvisamente tutto era a posto: bisognava solo respirare e lasciare andare il cuore, lasciarlo battere forte, e ancora di più e poi aprirlo.
Così sono arrivati i ricordi a onde, a fiumi, a lampi, così tanti che non riuscivo a contenerli.
Poi è arrivata la calma, in un attimo guardando gli occhi commossi di mia madre ho sentito forte le mie radici e sono tornata a casa.
“la vita va vissuta lontano dal paese, si profitta e si gode e poi quando si torna come me a quarant’anni si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono ” scriveva Pavese ne “I mari del sud”.
Ed aveva ragione.

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