domenica 15 aprile 2012

Giulio Casale -La Febbre -12 aprile 2012-

Avere dei dispiacerei non è tutto, bisognerebbe poter ricominciare la musica, andarsene a cercare ancora di dispiaceri… 
(L.-F. Céline)


Tornando a casa ieri notte, dopo aver assistito allo spettacolo, mi chiedevo quale fosse il valore aggiunto a quell’insieme di parole e musica magistralmente interpretate da Giulio Casale e dai suoi musicisti (Giovanni Ferrario, Lorenzo Corti, Pier Ballarin e Nicola “Accio” Ghedin), impeccabilmente diretti da Francesca Bartellini. E la risposta non ha tardato a giungere, il valore aggiunto è il viaggio reale. I monologhi e le canzoni si srotolano su di un immaginario tapis rolulant come fotografie di vita vera, che è amore e smarrimento, ma soprattutto è, oggi, paura e orrore per il vuoto che pare divorarci. La stessa paura che ci accompagna ogni giorno e che ogni giorno esorcizziamo non parlandone, fingendo che tutto proceda, che il capolinea non sia forse così vicino. Lo stesso orrore che ci impedisce di vedere chiaramente quanto sia ormai labile il confine tra “normale” e “diverso” e come sia oggi facile trovarsi in un battere di ciglia sull’altra sponda, quella sbagliata quella più temuta perché sporca e scomoda e per questo bandita da sempre dal modello di vita contemplato dalla nostra bella società. Quel modello che ha generato le etichette, ha diviso con il suo metro i forti e i deboli, che mai ha avuto contenuti veri ma sempre ha esercitato il suo potere attraverso l’insindacabile giudizio. Quel modello che è artefice dell’imbruttimento delle nostre anime e causa principale della codardia diffusa che ci impedisce di riprendere attivamente possesso della nostra piena esistenza, di rovesciare l’assetto di mischiare ancora le carte e aprire il gioco, di nuovo. Quel modello che è responsabile di aver prodotto la cecità vera e brutale (lode a Saramago!) che ci rende schiavi e deboli. E se questo è il quadro che viene rappresentato non c’è però nel messaggio di Giulio Casale nessun segnale di rinuncia alla vita e al diritto di essere vivi davvero, anzi quell’inquietudine che pervade l’intero spettacolo è attiva e contagiosa ed è propositiva, perché i contenuti, mostrandoci amaramente e senza filtro il contesto nel quale ci muoviamo, diventano strumento da fagocitare nell’intimo di ciascuno, diventano domanda e poi risposta e la risposta immediata non può che essere il superamento del primo e più significativo ostacolo: la nostra indifferenza. 


La febbre, in fin dei conti. 
(L.- F. Céline)


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